martedì 25 gennaio 2011

londonstani


Come molte altre metropoli occidentali, Londra sta vivendo in questi anni un fenomeno assai preoccupante: quello degli immigrati di seconda o terza generazione che rifiutano l’integrazione faticosamente cercata dai loro padri, abbracciando una cultura dell’autosegregazione, e formando piccoli gruppi su base etnica in perenne contrasto fra loro.
Della banda di “rudeboys “, di cui il carismatico Hardjit è capo indiscusso, fanno parte Amit, Ravi e Jas, voce narrante del romanzo: un diciannovenne timido e ancora vergine che desidera disperatamente essere accettato dal gruppo e, per scrollarsi di dosso un’immagine da «mingherlino mezzapippa», assume atteggiamenti da macho che lo rendono spesso ridicolo. I quattro ragazzi evitano la scuola e girano il quartiere sulla   “Biemme” (BMW) della madre di Ravi, assordando i passanti con la loro “musica giusta”, trafficando in cellulari rubati, ossessionati dalla retorica del rispetto, del culto del corpo, di uno stupido materialismo consumista, adottando spesso comportamenti omofobi e misogini.   Per Jas e compari la grande occasione si presenta quando un professore, con l’ingenua intenzione di toglierli dalla strada, li mette in contatto con Sanjay, ex allievo modello laureato a Cambridge. In realtà, alla base del successo e dello stile di vita abbagliante di Sanjay c’è un giro d’affari non esattamente legale, in cui Jas e amici si lasciano coinvolgere volentieri. La posta si alza e, per Jas, le pressioni aumentano: da un lato gli amici, gli affari e la famiglia; dall’altro Samira, la ragazza musulmana di cui si è innamorato e che frequenta di nascosto da tutti, senza prevedere le disastrose conseguenze che questa passione porterà nella sua vita. La situazione, infatti, andrà ben al di là della sua saggezza da rudeboy e gli eventi lo faranno precipitare in un vortice da cui non gli sarà facile salvarsi.

Con la sua straordinaria vivacità espressiva, mescolando lo slang delle strade di Londra con il Panjabi e le bastardizzazioni locali del “gangstar rap”, Malkani dipinge un quadro provocatorio e inquietante della cultura giovanile metropolitana, di questo atteggiamento di rabbiosa ostilità verso tutto ciò che è etnicamente integrato e politicamente corretto, atteggiamento che ha più volte incendiato le periferie delle metropoli occidentali e che la politica sembra assolutamente incapace di affrontare, se non come mera repressione.

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